Quando lavori di notte finisci per dimenticare di avere un’ombra, suona così una
delle frasi più emblematiche di Closing time della regista svizzera Nicole Vögele,
presentato in anteprima italiana il 6 ottobre 2019 al Perugia Social Film Festival, il
festival umbro del cinema documentario e già vincitore del Premio Speciale della
Giuria al Festival di Locarno nel 2018.
Closing Time si concentra sul piccolo ristorante notturno che Kuo e sua moglie Lin
gestiscono a Taipei, la “città che non dorme”, il luogo che più si avvicina all’utopia
capitalista di una città in funzione 24 ore su 24, 7 giorni su 7. È una città in cui la notte
non è più buia. Il buio è diventato luce, la luce innaturale e fredda dei neon, e il tempo in
cui ci si riposa è diventato tempo in cui si lavora e si produce. Il ristorante è stretto tra
una strada a più corsie e una sopraelevata. Il continuo frastuono del traffico è tremendo,
ma nessuno sembra curarsene. Ai tavolini del locale si succedono tatuatori, tassisti,
responsabili di sale giochi e commercianti, accomunati solo da una fame che ha preso il
posto del sonno. La loro vita, come quella della coppia di ristoratori di mezza età, ha un
carattere ciclico, si basa solamente sul lavoro, tra gesti, parole e comportamenti che si
ripetono in maniera sempre più stanca, una notte dopo l’altra, senza speranza di un vero
cambiamento. E lo stesso ritmo del film si adegua a questa idea di circolarità. “Sono
persone consumate dal lavoro - ha commentato la regista - e quando si lavora così, ogni
notte, non c’è spazio per nient’altro.” Lo sconquasso che sarà causato dal tifone sembra
allora alludere a un disordine emotivo che, sebbene tenuto a freno, diventa sempre più
evidente. Il soggetto principale dell’indagine della regista è Kuo, che la telecamera
insegue tra le strade e le viuzze della città quando esce dal suo ristorante con lo scooter
per recarsi al mercato dove fa rifornimento di materie prime. Il dinamismo di queste
scene contrasta con la fissità delle riprese all’interno del ristorante che finora avevano
caratterizzato il film. Sulla via del ritorno, Kuo si riappropria del proprio tempo e del
proprio ritmo di vita, anche se per un breve momento, e invece di tornare a casa e al
lavoro fa una deviazione col suo motorino e, lasciatosi la città alle spalle, si ritrova in riva
al mare, senza sapere nemmeno lui cosa lo abbia spinto lì. Sarà certo per poco, perché le
necessità economiche della famiglia incombono e bisogna lavorare di più per far quadrare
i conti, nonostante l’aumento dei prezzi delle materie prime. Sarà per poco, ma è
comunque indicativo di uno stato d’animo che verosimilmente non è del solo Kuo.
La regista dice di aver capito dal suo precedente documentario, la sua opera di
debutto, che il pubblico è molto interessato a questo tipo di pellicole. “Closing time è per
chiunque sia aperto e abbia la volontà di mettersi a sedere, dimenticandosi i propri affanni
ed entrando nello spazio filmico che è spazio di esperienza più che di narrazione.” Del
resto, se quella di una città che produce senza un minuto di sosta è tuttora una realtà
impensabile per uno spettatore del vecchio continente, sempre più segnali lasciano
intendere che potrebbe in realtà trattarsi semplicemente di un futuro prossimo.
【題組】74 Il film è ambientato
(A) nella città di Taipei e vicino a Taipei.
(B) solamente nel ristorante di Kuo.
(C) solo in luoghi chiusi, mai all’aperto.
(D) nello spazio di una notte e della giornata successiva.